La vecchia casa di legno e di pietra stava ancora li, dopo più di duecento anni di onesto servizio passati a proteggere e scaldare le ossa di generazioni di contadini e doganieri. Quando la vedemmo era mal ridotta, qualche buco sul tetto faceva cadere l’acqua nel fienile, l’umidità saliva implacabile dalla terra a corroderne i muri.
Aveva rischiato di essere distrutta, per lasciare in eredità solo la sua cubatura, e permettere la costruzione di un’altra nuova abitazione senza anima e senza storia.
Noi la trovammo così, quasi per caso, smarrita e sconsolata, mentre andavamo in giro per queste valli in cerca di libertà e di natura e ne fummo subito invaghiti.
Percepivamo che sotto quella pelle di sasso i tanti inverni e le tante estate avevano lasciato un segno che meritava di proseguire il suo arco nel tempo.
Così ricostruimmo il suo tetto di larice, rafforzammo le pareti, risistemammo i pavimenti con legno antico, riparammo le finestre lavorando sul grande scheletro di pietra possente.
Il maso piano piano tornava a nuova vita.
E ci ricompensò…